La voce che abbraccia: l’importanza della voce materna nello sviluppo del bambino
Il feto sviluppa molto precocemente la capacità di ascoltare, di riconoscere e memorizzare le voci e i suoni. Già durante la gravidanza, attraverso la voce, il canto e la musica, è possibile favorire una comunicazione tra la madre e il bambino; in particolare l’utilizzo prosodico della voce da parte della madre si è dimostrato in grado di attivare nel neonato specifiche zone cerebrali normalmente interessate alla regolazione delle emozioni. Il suono, vocale o strumentale, svolge un ruolo importante per lo sviluppo neurologico.
La componente prosodica della voce materna (cioè la parte ritmica e melodica) è quindi da considerare una vera e propria forma di contatto emozionale, una forma di abbraccio non corporeo. La grande plasticità cerebrale del periodo perinatale può trovare nella voce e nella musica un potente attivatore in grado di produrre contemporaneamente stimolo e piacere.
Per almeno un terzo della gravidanza l’essere umano vive immerso in un ambiente sonoro; il feto vive ciò che sente, e la sua esistenza è completamente contenuta in un liquido che parla. Questa continua stimolazione uditiva e questo costante esercizio d’ascolto producono una veloce maturazione dell’udito, così che alla nascita questo appare come un unico organo già completamente mielinizzato.
Il bambino all’interno del grembo ascolta la madre. Il suo respiro, mutevole, ritmico, i suoni degli organi addominali connessi alle numerose funzioni: alimentazione, digestione, evacuazione. Su questo ricco sfondo sonoro si inserisce la vera musica: la voce materna. Questa perviene al feto direttamente dall’interno, propagandosi attraverso gli organi; dalla laringe la voce scende lungo la colonna vertebrale e giunge al bacino che funge da cassa di risonanza. Fin dalla gravidanza il bambino conosce e riconosce la voce materna; in particolare diventano familiari gli aspetti prosodici della voce. Sono il tono e la melodia a stimolare il bambino e a coinvolgerlo, perché per lui questa voce è prima di tutto musica e ritmo. Il ritmo vocale può tranquillizzarlo o eccitarlo, rassicurarlo o preoccuparlo; attraverso il suono il feto può riconoscere i sentimenti della madre ed entrare in sintonia con lei. L’ascolto e la conoscenza di questa voce sono per lui un’esperienza globale e profonda, in grado di coinvolgere tutti gli altri sensi e rendere attiva la sua mente in formazione.
Secondo lo psicofonologo Alfred Tomatis “per un bambino perdere la voce della madre significa perdere l’immagine del proprio corpo”, perché questo suono all’inizio della vita è parte di lui e possiede una valenza identitaria. In questa fase della vita la sua identità coincide con quanto è in grado di percepire: “egli pensa per emozione e sentimento”. Il ritmo della voce materna è probabilmente il principale ponte di continuità tra la vita prenatale e quella postnatale. Le localizzazioni prosodiche prelinguistiche (prive quindi di significati simbolici e astratti) sono da considerare delle vere e proprie forme di contatto emozionale; la voce diventa una sorta di estensione non corporea dell’abbraccio e del contatto materno.
Il linguaggio materno è il prodotto di una lunga selezione che permette una prima forma di legame madre-bambino, in grado di attivare quel processo di attaccamento che si affinerà col tempo. Attraverso la musicalità della espressione materna, il neonato (e il feto) inizia a conoscere se stesso e a “sentirsi sentito”; questo tipo di comunicazione va considerata una profonda e raffinata modalità di “rispecchiamento” tra la mamma e il bambino. La vocalizzazione sembra servire più come consolidamento del rapporto che come scambio di informazioni. È come se la madre preparasse il bambino a compiere adeguate esperienze su tutti i possibili e più significativi tipi di suono che altri potranno esprimere.
Il suono, la voce e la parola della madre rivolti al feto sono in grado di sviluppare nel nascituro non solo un’emozione positiva ma un sentimento e un legame d’amore.